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Oggi sul sito digitalchampions.it campeggiava la Scritta Fatturazione Elettronica, “Grande Innovazione della PA” riprendendo il titolo di una trasmissione RAI in cui si raccontava la Fattura PA.

Nella pagina vi è poi un ottimo articolo divulgativo che spiega lo status quo e fornisce utili e necessarie indicazioni agli operatori.

Lo spiega benissimo peraltro. Né poteva essere diversamente dato che a spiegarlo c’è il caro amico, ottimo avvocato e vero innovatore Ernesto Belisario.

L’iniziativa meritoria di promozione e divulgazione di questo nuovo strumento vedrà – dopo il mega convegno di lunedì a Roma in cui sono stati formati sul punto i Digital Champions locali nominati da Riccardo Luna – una attività sul territorio di divulgazione, promozione, ausilio alle aziende relativamente alla #FatturaPA, che sfocerà già il 9 marzo in una iniziativa nelle diverse Regioni (link).

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Negli ultimi giorni ho letto alcuni colleghi in giro per i social molto critici. Qualcuno addirittura scrivere che considerano la Fattura PA un passo indietro.

Ho dunque sentito, come spesso mi capita, l’irresistibile anelito a dire la mia.

Per me la #FatturaPA non è un passo indietro. È un passo avanti rispetto allo status quo, sopratutto in relazione alla lotta all’evasione.

 

Non posso però sposare la retorica (che pure comprendo) e definirla innovativa, né tantomeno “grande innovazione”.

Comprendo che lo sforzo enorme ed encomiabile di promozione e divulgazione affrontato dalla rete dei Champions ha bisogno di comunicare la soluzione come innovativa per renderla più attraente nel Paese.

Io, tuttavia, non essendo Champion, posso permettermi il lusso di essere schietto.

La sensazione persistente che mi tormenta (the feeling I can’t shake off) è che si sia persa un’altra enorme occasione per innovare come Dio comanda, rendendo le cose più semplici.

Si tratta di capirsi sul parametro rispetto al quale una soluzione si valuta come innovativa e sul “costo” di quella innovazione.

Per come la concepisco io la tecnologia per essere innovativa deve essere intuitiva e semplice: siamo al tempo dell’iPhone, che viene venduto senza libretto d’istruzioni e compreso istintivamente anche da bambini e anziani.

 

Invece la fattura digitale sembra essere stata concepita ai tempi di Windows 95 (o forse del DOS) e infatti ha bisogno per essere spiegata e promossa tra le aziende del (necessario, meritevolissimo e faticoso) lavoro dei digital champions, di iniziative delle associazioni di categoria, etc.

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Per non parlare poi della assurdità dell’onere di “conservazione”, che trovo incomprensibile (ne ho già scritto qui). 

 

Dato che il destinatario è sempre una PA – e per di più esiste il sistema “pubblico” di interscambio – non capisco perché non possa applicarsi l’art. 43 del DPR 445/2000 (id est, la norma secondo la quale una PA non può chiedere a cittadino o azienda documenti giá in suo possesso o in possesso di altre PA) all’agenzia delle entrate e alla conservazione della contabilità.

Invece se si da uno sguardo al fiorire su internet di offerte per la conservazione per 10 anni con prezzi intorno a 1 euro a fattura è piuttosto evidente che di fatto si è imposto un nuovo bollo sulla fattura, a beneficio di quelle software house che vivono sulla complicazione del nostro sistema fiscale.

E non è tutto. Mi pare, altresì folle aver affidato a ogni ente anche minuscolo l’onere di attrezzarsi per la conservazione, con una moltiplicazione inutile di costi per consulenze, sistemi e formazione.

La soluzione più semplice, intelligente ed economica sarebbe stata, invece, trasformare il “sistema pubblico di interscambio” in “sistema pubblico di interscambio e conservazione“, con enormi economie di scala per il settore pubblico e eliminazione di compliance costs per il settore privato.

In questo modo si sarebbe anche incrementato l’impatto positivo di questa importante riforma sulle casse pubbliche, dato che con la infrastruttura attuale una parte del risparmio pubblico per la digitalizzazione del sistema di fatturazione viene perso con i costi di adeguamento tecnologico dell’amministrazione decentrata.

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La vera innovazione si diffonde senza bisogno di essere spinta, si diffonde perché è più comoda da usare dei metodi che rende obsoleti.

 

Peraltro da prendere a modello c’era un caso virtuoso bellissimo di uno Stato UE, proprio in tema di fattura Digitale alla PA: il caso danese in cui la best practice governativa sulla Fattura PA è diventata la startup TradeShift (chi è interessato ad approfondire può partire da questo Interessantissimo articolo (link)

Io avrei chiesto alla Danimarca il riuso (come di recente ha fatto la Finlandia con l’Estonia: link) del sistema antesignano di Tradeshift. In questo modo si sarebbe evitato di sprecare tutti questi soldi per realizzare il sistema, per promuoverlo, e sopratutto si sarebbero evitati gli oneri di delle Aziende per mettersi in regola.

Purtroppo, invece, un altra volta si è costruito un sistema complicato e concepito male, nel senso che (come il Processo Telematico che partorisce aberrazioni come la “busta telematica” o la necessità di interrogarsi sulla distinzione filosofico normativa tra copia e duplicato di un atto estratto dal PCT), tenta di cucire un vestito digitale a operazioni cartacee, invece che ripensare il sistema partendo dal funzionamento e dalle potenzialità del mondo digitale.

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Ecco il sistema Fattura PA come lo vorrei.

 

L’impresa dovrebbe poter entrare nel sistema (autenticandosi con il sistema di identità digitale)  e compilare lì dentro la fattura attraverso un modulo HTML5 ultra semplificato (oppure inserirla con i suoi software gestionali che avranno usato per interfacciarsi con il sistema le librerie messe a disposizione dal sistema  stesso).

Dopo essersi autenticata e aver compilato o caricato la fattura l’impresa dovrebbe cliccare invia.

A quel punto per l’impresa dovrebbero essere finiti gli adempimenti.

Dovrebbe essere il sistema stesso a inviare al destinatario in automatico un avviso (magari via pec, via mail o sms) che dice “hai ricevuto una fattura, fai login e controllala!”.

E, sopratutto, dovrebbe essere il sistema a occuparsi di archiviarla (anche a fini contabili e fiscali).

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Per evitare fraintendimenti, provo a spiegare il mio pensiero con una metafora.

Io sono felice che l’Italia stia passando dal cavallo al treno a vapore.

 

Apprezzo il lavoro enorme che si sono sobbarcati e si sobbarcheranno i digital champions e le camere di commercio per portare la ferrovia in tutta Italia.

Non mi si chieda però di condividere la retorica (della quale pure comprendo la necessità) che accompagna l’opera di evangelizzazione sui territori (anch’essa assolutamente necessaria).

Ignorance is bliss dicono gli Inglesi.

Io, purtroppo, non riesco a non guardare oltre il muretto e vedo che mentre noi passiamo al treno a vapore i cittadini di altri paesi del mondo si muovono con aerei supersonici.

L’innovazione di cui abbiamo bisogno è lo Stato che diventa semplice, e libera cittadini e imprese da oneri inutili.

 

La Fattura PA invece è “per” lo Stato e “a carico” del contribuente (tra i più vessati al mondo), che deve adeguarsi alla nuova complicata innovazione affrontando oneri burocratici e compliance costs.

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Vorrei concludere con un pizzico di ottimismo e in modo propositivo.

Il problema dell’inutile onere di conservazione delle fatture a carico delle aziende a mio avviso si può risolvere con una normetta ad hoc, o forse basterebbe anche una Circolare della Agenzia delle Entrate.

 

Ecco, risolto questo forse potrei considerare di mutare la metafora con un passaggio dal treno a vapore a un FrecciaArgento (FrecciaRossa ancora no, non esageriamo).

Sino ad allora in bocca al lupo ai Champions e che Dio ce li conservi energici ed entusiasti.